
Trama La Prima Anima Epurazione
Sono trascorsi due mesi dal giorno in cui gli alchimisti hanno terminato il rito. Due dalla loro ascesa a creature immortali… e dalla loro scomparsa.Jessica, incapace di accettare la sparizione improvvisa di Micé e oppressa dalla preoccupazione per la sorte del ragazzo, incespica nel trovare un equilibrio interiore che le permetta di affrontare la vita tra i suoi simili e quella che è orami diventata la sua quotidianità come individuo ad alte vibrazioni.
Il desiderio di ritrovare Micé e il timore di una separazione permanente si intersecano nel suo cuore, finché l’arrivo di una notizia la porta a sperare.
Affiancata da Davide e dal più improbabile e inaspettato degli alleati, Jessica si prepara per una missione di salvataggio che si rivelerà molto più di quanto si aspetta. Perché in ballo non c’è solo il destino degli alchimisti e del ragazzo che ama, ma quello di ogni singolo essere umano del pianeta.
Il capitolo finale della dilogia fantasy iniziata con “La Prima Anima - Il Rito”.
Prologo La Prima Anima Epurazione
Avvertii un cigolio provenire dalla scala di sicurezza che, come una pianta rampicante, si abbarbicava lungo l’edificio fino al tetto. Avevo lasciato la finestra accanto al mio letto socchiusa, per permettere alla frizzante aria serale di penetrare nella camera che, all’orfanotrofio, dividevo con altre sette ragazze. Così il rumore era arrivato alle mie orecchie con assoluta chiarezza.Mi sollevai con la schiena rimanendo seduta sul morbido materasso, le orecchie tese. Un barlume di eccitazione colmo di aspettativa si accese nella mia anima, alterando i battiti del cuore. Lo scacciai immediatamente. Non mi ero resa realmente conto della speranza che si era annidata nella mia mente fino a quel momento.
Ridicolo. Cosa avevo da scaldarmi tanto per un ragazzo che avevo visto una sola volta? Non aveva nessuna importanza che tornasse. Non mi interessava assolutamente rivederlo. Mi lasciava totalmente indifferente il fatto che avesse espresso l’intenzione di venire nuovamente a trovarmi.
Un’altra vibrazione corse lungo la struttura di ferro. Pensai che a causare quel suono metallico potevano essere benissimo anche i passi di un grosso, obeso gabbiano, che non aveva nulla di meglio da fare che venire a turbare il mio riposo. Non erano per forza gli spostamenti di un essere umano. Potevo anche rimettermi a dormire o, meglio, tentare di assopirmi visto che non ero ancora riuscita a prendere sonno; a differenza delle mie compagne di stanza.
Dovevo assolutamente riposare se l’indomani volevo essere lucida per fronteggiare la giornata. E Dio solo sapeva quanto, in quel luogo che odiavo, avevo bisogno di esserlo per non finire succube dei miei coinquilini. Dopo l’agguato che mi avevano teso in bagno e che per poco non era degenerato in una violenza di gruppo, sentivo di dover stare in allerta ogni singolo secondo.
Tuttavia, contrariamente ai miei propositi di sprofondare velocemente nel sonno, invece di tornare a sdraiarmi e serrare le palpebre, rimasi immobile a guardare il buio oltre la vetrata.
Strinsi il lenzuolo e un moto di frenesia mi ghermì lo stomaco punzecchiandolo come spilli affilati.
E se era stato quel ragazzo a produrre quel rumore? Se era davvero tornato? Forse, dopotutto, sarebbe stato scortese da parte mia lasciarlo tutta la notte ad aspettare invano.
Torturai l’unghia di un pollice con i denti, combattuta, ma dopo un istante, con uno scatto deciso, aprii maggiormente la finestra e velocemente mi issai sul davanzale, per poi calarmi silenziosamente sulla scala di sicurezza esterna.
Non era un’azione concessa dalle regole della casa, ma non mi interessava. Il pianerottolo all’ultimo piano era il mio rifugio notturno segreto nei momenti in cui avevo bisogno di tirare il fiato e, sfortunatamente, da che erano morti i miei genitori ed ero stata sbalzata in quella nuova vita, era una circostanza che avveniva decisamente di frequente.
Salii lentamente le scale, cercando di essere il più silenziosa possibile. Dentro alla pancia qualcosa si stava annodando in modo fastidioso. Svoltai l’ultima rampa e lo vidi, seduto sul freddo metallo, gli anfibi sbiaditi sul secondo scalino, i gomiti appoggiati alle cosce e i folti capelli bianchi e grigi leggermente scompigliati dal vento. Alla mia vista, un affascinante sorriso gli piegò gli angoli della bocca.
Micé.
La notte precedente mi ero perfettamente resa conto di quanto fosse dannatamente bello. Insomma, bisognava essere ciechi per non notarlo. Ma ora i ricordi, seppur freschi, dato che era trascorso solo un giorno dal nostro primo incontro, davanti alla sua reale presenza sbiadivano. Micé non era solo bello. Era strepitoso. Il ragazzo più assurdamente sexy che avessi mai visto.